21 Novembre
Dal libro "Vita Primierotta, nei suoi costumi, tradizioni e leggende", di Corrado Trotter.
In passato i campi più fertili nonché i più comodi ed estesi prativi e grandi particelle di bosco erano nelle mani del beneficio o priorato di San Martino di Castrozza, delle più ricche famiglie da tempo stabilitesi in Valle, della parrocchia di Pieve ed in seguito anche delle altre cui erano stati destinati lasciti più o meno spontanei.
Il priorato che col passare dei secoli aveva accumulato un patrimonio ragguardevole di malghe, di boschi e di vasti pascoli montani, estendeva i suoi beni anche nel fondovalle, nel territorio di tutti i comuni.
Risulta infatti da un documento del 1888 intitolato "Descrizione dei beni stabili che il beneficio di San Martino di Castrozza medita vendere" che l'area dei terreni coi rispettivi rustici che si intendevano alienare avevano un'estensione pari a circa metri quadrati 272.888, oltre 27 ettari, per un valore ingente che in base a stima, saliva a ben fiorini 30.151,25. Per i migliori arativi il valore della stima era di fiorini uno alla pertica quadrata, ma la rendita di cui godeva il priorato affittandoli era sempre inferiore ad un fiorino per 100 pertiche.
I conti Welsperg erano proprietari di gran parte della piana a Valle di Fiera, lungo il Cismon, nonché della tenuta di Villa Welsperg e della conca dei Piereni nonché del famoso Bosch de 'l Conte in Val Canali in seguito passò in eredità ai Conti Thun.
L'agiata famiglia di Sigismondo Bonetti, detto comunemente "el meto potete", commerciante di legnami, era diventata proprietaria delle guastaie, dei fossi e dei navoi.
La famiglia Morandini possedeva i ricchi prati del Pez Gaiard e delle Fontanele a San Martino, delle Osne e dei Piai a Mezzano.
La famiglia Ben, arricchitasi col notariato, tra i suoi beni elencava le località: Belder, la Caneva, le Valli ed anche appezzamenti di Giare a valle di Fiera.
La famiglia Sartori era padrona di gran parte di Molaren, del Colaor, di Villa Sofia, di parte di Fedai, etc.
Notevole la famiglia Piazza che pervenne in Valle nel 1619, di modesta origine, diventò una delle più ricche di Primiero per i suoi possedimenti terrieri in Valle e fuori.
A Imer, oltre la bella casa, tuttora abitazione del medico condotto, i Piazza possedevano una grande "s-cesura" dalla residenza verso località Vignole; erano proprietari inoltre di un bel tratto di Molaren, del bellissimo Maso di Boia e via dicendo.
Tra le famiglie citate per il loro benessere e per le loro notevoli proprietà stabili, anche quella del famoso farmacista Prospero Antonio di Fiera.
Oltre alla grande casa all'entrata di Fiera, era sua proprietà la ben nota "stala-granda", cioè il maso in bellissima posizione a Molaren di Mezzano, con fabbriche rustiche ed abitazione, esteso all'incirca per ettari 7,8 e che nell'inventario, in seguito alla sua morte nel 1873, fu valutato fiorini 7.458,33, tre volte il valore della sua casa di Fiera.
A stala-granda il Prospero faceva eseguire coltivazioni varie ed esperimenti agricoli, specie in riferimento all'allevamento, che servissero da guida per i contadini della Valle.
21 Novembre 1723
Scriveva il dottor Antonio Rachini, medico fisico di segusino e sanitario in Primiero, nel 1723: "Le genti di Primiero sono assai docili, obbedienti ai superiori, ossequiose verso religiosi, amiche de forestieri, e molto dedite alle devozioni ed opere di pietà". La testimonianza più palese della fede dei nostri avi sta nel fatto che, dopo apparsa la bella arcipretale di Fiera, dovuta in gran parte alla generosità dei canopi, gli abitanti dei vari colmei rimasero meravigliati dall'opera e sentirono subito il desiderio di ampliare la loro chiesa già esistente per renderla non solo più capace, ma soprattutto più decorosa.
Per prima nel 1500 cominciò Transacqua, seguita nel 1515 da Siror e subito dopo da Tonadico che aveva appena ampliato San Vittore.
Pressoché nello stesso periodo sorse la nuova chiesa di Imer e, poco dopo, più capace di tutte, quella di Mezzano.
Fu appena consacrata quest'ultima nel 1680 che i Canalini, non più soddisfatti della loro chiesa nel 1688 chiesero il permesso di abbatterla per costruirne una più bella sulla stessa area.
Ottenuto il permesso, nel 1714 anche questo nuovo tempio fu consacrato. In seguito tutte queste chiese vennero rinnovate, ampliate ancora, restaurate, rimodernate.
Le cerimonie più importanti però, fino al 1700 ed anche dopo, si frequentarono nella parrocchia di Pieve. La chiesa era affollata in ogni funzione.
I nostri antenati trasformarono in idolo la persona del sacerdote e non si sarebbero mai permessi di contraddirlo, finendo addirittura nel timore di inimicarselo, fino al punto di far entrare la sua figura persino nella superstizione.
Dicevano:"guai intrigarse coi preti parchè lori i à anca 'l poder de la maledizion; mai e po' mai dir mal dei preti!". La questione della maledizione era un'ingenua ed ingiusta credenza di gente spaventata.
Erano tempi senza dubbio in cui l'ignoranza e l'indigenza diffusero timore e sottomissione, in cui l'insegnamento religioso veniva impartito con metodo assoluto ed impositivo.
Di tale severità religiosa ne fan fede anche gli statuti del 1367 che alla rubrica undicesima del libro primo, ordinano: "Di non bestiemar Iddio, Maria, nè i suoi Santi, tanto in giocho, come in fuori di giocho, sia in che si voglia occasione". La pena di 60 soldi per cadauna volta è severa, ma il peggio toccava a chi non la poteva pagare perché doveva esser gettato per tre volte nell'acqua.