La cronaca dell’ultima predazione del lupo tra le case di Via Caltene a Transacqua, avvenuta nelle notti di giovedì 14 e venerdì 15 maggio.
Che il lupo si aggiri frequentemente a Primiero e nel Vanoi
è cosa nota da un po’. Ora però la sua presenza stanziale inizia ad essere
problematica e gli allevatori “ne hanno piene le scatole”. Pecore braccate e
sbranate sono state ritrovate durante tutto l’inverno, con i casi più eclatanti
a poche centinaia di metri sopra l’abitato di Mezzano (dove il lupo è stato
pure ripreso da una telecamera a infrarossi mentre si gustava il lauto pasto),
in Val Canali e a Lach, sopra Transacqua.
Ma l’ultima predazione di giovedì ha “rotto le scatole” non
solo all’allevatore Simone Scalet, ma anche ai residenti di Via Caltene a
Transacqua. Infatti, il canide ha preso di mira il recinto adiacente le case,
dove abitano famiglie con bambini sempre “intorno a dugar” che hanno imparato
ad avvicinare le mansuete al richiamo di “sal, sal, sal” facendosi leccare le
manine piene di sale.
Simone Scalet alleva capre e pecore per passione da 23 anni,
fin da quando aveva 11 anni. Ha una stalla in centro paese, ereditata dal
nonno, e durante l’inverno accoglie 15 pecore e 18 capre. Poi, dalla primavera
all’autunno, dedica il tempo libero ai suoi animali, facendoli pascolare sui
prati al limite delle zone boschive, con il vantaggio di mantenere certi
“ronchi” puliti, frenando l’avanzare di piante e sterpaglie. La sua e quella
dei numerosi allevatori “hobbysti” è una funzione importante per il
mantenimento del territorio, che altrimenti andrebbe gestito a livello
provinciale e comunale con un notevole esborso economico e impatto ambientale.
Tornando alla vicenda, nella notte tra mercoledì e giovedì,
il lupo ha assalito il recinto sbranando una pecora: in maniera chirurgica,
ripulendo per bene la carcassa e lasciando solo le interiora, le zampe e la
testa, denotando una vera “fame da lupo”. La mattina, la macabra scoperta,
l’intervento della forestale, l’innalzamento del recinto che non era stato
intaccato.
Paura e sgomento nel circondario dove abita una quindicina
di famiglie, tutte solidali con l’allevatore: ma è mai possibile che il lupo
goda di tanta tutela a livello nazionale, a discapito di chi, con passione e
fatica, porta avanti tradizioni millenarie legate al vivere in montagna? Avanti
così, e pure l’allevamento andrà a morire: recinti doppi e elettrificati è
acclarato non proteggono il bestiame. E allora, ecco la voce dei
“protezionisti” ad oltranza: ci si prenda dei cani e la sera si riportino i
capi nella stalla. Vabbé, non serve essere un allevatore di professione per
capire che così non si va avanti. È come quel tipo che era partito per andare a
Roma in pellegrinaggio e la sera, visto che era ancora vicino a casa, rientrava
per dormire.
Insomma, i soliti discorsi, così usuali che si dà per
scontato che le normative non si possano cambiare.
Comunque, non è finita qui. Venerdì mattina, il recinto non
esisteva più. Il lupo era ritornato, le pecore – già spaventate dalla notte
avanti – hanno cercato in tutti i modi di scappare. Nel prato, non ce n’era più
alcuna. Una, solitaria, si era rifugiata sul tetto della legnaia della casa
prospicente il prato a pascolo. Quando Simone Scalet, avvisato dalla famiglia,
è arrivato, si è trovato di fronte un animale spaventatissimo: non voleva
lasciarsi prendere, batteva ostinatamente una zampa a terra. Simone era
sgomento al pari: se la pecora avesse cercato una via di fuga lanciandosi dal
tetto, si sarebbe spezzata le zampe. Come fare? Momenti lunghi e affannati,
finché l’impresa è riuscita, abbracciandosi stretto l’animale. Quattro sue
compagne sono state ritrovate 500
metri oltre, nascoste nell’alveo del rivo che scende da
Caltena, le altre 8 erano arrivate quasi al Mason, tutto dall’altra parte del
colle.
Che fare? Dare ragione a chi difende il lupo ad oltranza,
gettare la spugna e cominciare a fare la spola stalla-recinto ogni mattina e
ogni sera? Improponibile, come già detto. Ecchecavoli, non si ha più il diritto
di mantenere vivo quell’atavico senso di appartenenza alla montagna?
Intanto va così: le 13 pecore superstiti, assieme alle 18
capre che pascolavano su un’altra riva pochi metri più su bordo strada hanno
trovato “dimora” in un prato in paese. Una sistemazione precaria, della durata
di una settimana, poi non ci sarà più erba e Simone dovrà trovare velocemente
una soluzione.
Alcune considerazioni sul modus operandi di lupo e pecore,
come ci ha raccontato Simone Scalet: per come ha sbranato chirurgicamente la
prima preda, il lupo doveva essere molto affamato. Si è preso tutto il tempo,
sotto la luce del lampione che illumina la strada tra le case, di cibarsi fino
all’osso. Certo che normalmente, così dicono gli esperti, dopo un lauto pasto è
sazio per almeno una decina di giorni. Allora, forse, non è lui che è tornato
la notte dopo. Oppure, potrebbe trattarsi di una lupa che deve sfamare lei e i
suoi cuccioli. Ecco così, che per saperne di più, venerdì sera la carcassa
della seconda pecora sbranata è stata lasciata in mezzo al recinto, monitorata
a vista da due telecamere all’infrarosso: si vuole capire se sia un lupo
solitario o più d’uno. Il lupo, la lupa o i lupi non si sono fatti vedere.
Satolli, finalmente? O meglio, fino al prossimo brontolio dello stomaco?
Ovvio che ora il lupo potrebbe far man bassa nei pascoli
vicini: nei dintorni, tra Mason e Caltena, ce ne sono altri tre vicini a case
abitate. L’attenzione è alle stelle e la preoccupazione è tangibile.
Due parole vanno spese nuovamente per le pecore: nella
giornata di venerdì, dopo che si sono ritrovate tutte assieme, sono rimaste in
gregge, senza mai isolarsi, al bordo del recinto più vicino alle abitazioni.
per sentirsi più protette dalla presenza umana? È risaputo, infatti, che hanno
paura a rimanere nel recinto predato. Anche chi difende il lupo ad oltranza o
non conosce gli ovini, può capire che non rimangono indenni dallo spavento. Se
la prima notte non sono scappate dal recinto perché non sapevano come muoversi
all’attacco – per loro era la prima volta -, ecco che è comprensibile come la
seconda abbiano cercato una via di fuga e si siano disperse mandando all’aria
il recinto.
Simone Scalet evidenzia pure come lo shock può avere effetti
immediati sulle femmine gravide che culmina con l’aborto. Per fortuna, capi
gravidi non ce n’erano, ma non è detto che non ne risentano con il parto
previsto in autunno: sono noti infatti casi di pecore che, dopo lo spavento,
portano a termine la gravidanza, ma allontanano i piccoli alla nascita. Solo
l’allevatore, con pazienza e amore, riesce a far riaccettare i nuovi nati alla
mamma.
La stampa provinciale ha dato conto della prima predazione:
ha fatto scalpore la vicinanza alle case di Transacqua. La seconda, invece, non
ha trovato rilievo. Il lupo, infatti, “non fa più notizia”. “Ecchediamine,
predazioni ce ne sono dappertutto, da anni ne scriviamo, che questi allevatori
si organizzino, tanto le pecore uccise sono ripagate e vengono fornite le reti
elettrificate. Magari ci sono pure i contributi per i cani da guardia. Ma che
vogliono ancora? Si adattino a portare i capi al sicuro di notte…”.
Insomma, tra opinione pubblica della città e difensori ad
oltranza del lupo, è un gatto che si morde la coda. E la politica, l’unica
forse che potrebbe fare qualcosa? Assente, in balia degli ambientalisti, prona
a leggi nazionali che sembrano frutto di zero mediazione. Tanto si predica di
mantenere viva e abitata la montagna, tanto si mettono paletti insormontabili.
Non si va avanti a suon di contributi, ma con politiche favorevoli al lavoro.
Eppoi non si capisce tutta questa necessità di proteggere la
specie lupo ora che prende piede agevolmente: è permessa e ritenuta necessaria
la caccia a cervi e caprioli, è bandita quella al lupo. Non ci siamo: vabbé che
anche i cervi sanno far danni alle coltivazioni; vabbé che la carne di lupo non
è poi così gustosa mentre quella degli ungulati è una leccornia, ma è questo il
discrimine?
Tanto per la cronaca: chi scrive non ha nulla contro il
lupo. Se ne vedesse uno impallinato, magari da un bracconiere, solidarizzerebbe
con il lupo, come fa con le pecore sbranate. Tanto per dare l’idea: ho la
licenza di pesca, ho praticato la pesca a mosca, ma ho smesso, incapace di
uccidere le trote. Troppa pena per il dolore altrui.
Ecco, non è questa la questione: qui sono lesi diritti atavici
e un compromesso tra la tutela del lupo e la tutela di allevatori e allevati va
trovata. E anche le pecore hanno “il diritto” di essere salvaguardate.
Il dialogo deve rimanere aperto. Non si può liquidare la
questione con “tanto non si può fare niente”. Troppo comodo.
E il modo corretto non è quello di dividersi in fazioni
esacerbate, tra chi è pro e chi è contro. È ovvio che finché troverà pecore
disponibili, il lupo continuerà a mangiarsele, non c’è verso. E come mi ha
confermato un amico naturalista, “un filo elettrico o una reticella servono a
tenere le pecore, non ad impedire al lupo di entrare. Ogni sera notte o mattina
se non ha trovato alternative si fa il giro dei posti dove sa che ci sono
pecore o altro. Non è un animale d’alta quota, è un animale che vive e
frequenta tutte le quote dalla quota del mare fino ai pascoli alpini, sfrutta
valichi e passi come anche strade e vie di paese per i suoi spostamenti. Se in
zona c’è una coppia e sono nati i cuccioli, avranno un raggio d’azione di una
cinquantina di chilometri. Sono continuamente in giro per marcare il
territorio”.
E a proposito del nostro caso specifico, “questa zona è da
poco occupata perciò ci saranno numerosi casi di predazione su domestici finché
non si stabilizza il nucleo e finché quello che si dovrebbe fare e impedire,
l’accesso alle pecore con i recinti specifici. Anche il bracconaggio, i bocconi
avvelenati e cose del genere non servono a niente, anzi, ottengono l’effetto
contrario, perché si rende la zona di nuovo libera e a disposizione di lupi in
dispersione e si ricomincia daccapo perché il lupo solitario è più facile che
si ‘magni’ le pecore”.
E allora, che fare? “Siccome è una specie che apprende e ha
un elevato livello di cognizione, quello che andrebbe fatto è fargli capire che
le pecore non sono più prede facili”.
Insomma, serve cultura da entrambe le parti, interesse a
conoscere un argomento delicato che coinvolge interessi diversi. E una gran
voglia di dialogare sereni e convincenti. Certo, non si accontenteranno tutti,
ma parlarne in toni costruttivi non può fare che bene.
Manuela
Crepaz