L’episodio la notte di Natale del 19180 quando gli isernini preparano una spaghettata per i prigionieri trentini. Oggi la cerimonia in
ricordo del tragico evento e scoperta una targa commemorativa. Fucili puntati
in alto, un colpo a salve e poi l’inizio della cerimonia in ricordo dei circa
mille trentini che nel 1918 furono prigionieri a Isernia. Nel fine settimana
una delegazione di oltre 200 Schutzen, con abiti tradizionali, è arrivata a
Isernia per ricordare nonni e genitori che furono internati presso il monastero
di Santa Maria delle Monache (dove è stata affissa una targa ricordo) e in
altre chiese cittadine, tra cui quella di San Francesco e Santa Chiara. La
grande guerra era terminata ma per chi, nonostante si sentisse italiano, fu
costretto a combattere per l’impero austro-ungarico, la sofferenza ancora non
era finita. Furono deportati verso varie località, tra cui Isernia. Settanta
ore per arrivare e poi l’inferno. Secondo le testimonianze nessun diritto, da
parte dell’esercito italiano, fu loro riservato. Gli appunti, i diari, di chi
ha dovuto subire questa prigionia, però, raccontano anche di storie di
accoglienza, di aiuto da parte dei locali. Giuliano Turra, figlio di uno dei
prigionieri, per la prima volta a Isernia, ha raccontato con gli occhi lucidi,
l’esperienza vissuta dal padre cento anni fa. Enzo Cestari, presidente della
Federazione Schützen del Trentino, ha sottolineato come questo sarà l’inizio di
una collaborazione e di un bel rapporto di amicizia tra le due comunità.
Infine, il sindaco d’Apollonio, che ha raccontato anche degli aneddoti sino ad
ora sconosciuti sulla vicenda. La cerimonia, a cui ha preso parte anche un buon
numero di isernini, ha previsto anche la santa messa officiata da monsignor
Camillo Cibotti, vesovo della Diocesi di Isernia-Venafro.
I 498 soldati primierotti con molti altri trentini – è stato spiegato durante la cerimonia – furono richiamati e spinti ad un viaggio forzato di oltre 72 ore fino ad Isernia. Furono poi internati per oltre due mesi in condizioni miserevoli, stipati in camerate, con cibo scarso e senza le minime condizioni igieniche. L’autrice del libro dedicato proprio ai “Fatti di Isernia”, ha citato due preziosi diari che ripercorrono il viaggio e descrivono quello che accadde in quei mesi, le umiliazioni, la fame e l’avvilente delusione nei confronti dell’Italia. Accanto a questi sentimenti c’e però anche la testimonianza della commovente e compassionevole generosità dei cittadini d’Isernia. Gli uomini furono trattati in totale inosservanza della convenzione dell’Aia e mai seppero per quale legge o per quale reato fossero stati condotti fin qui, prelevati dalle loro case a guerra finita. La memoria non fu mai elaborata, questo argomento funa lungo ignorato dalla storiografia italiana e trentina.