25 Settembre
Da: "Vita Primierotta, nei suoi costumi, tradizioni, leggende", C. Trotter.
In passato il momento in cui un figlio si poteva sposare era deciso dal capofamiglia ed era più che altro una decisione condizionata da problemi economici.
C'erano dei figli che lavorando per il padre o per conto proprio, mentre abitavano nella casa paterna, riuscivano a procurarsi qualche piccolo bene.
Ne fa testimonianza la rubrica 7^ del libro 3^ degli statuti della comunità di Primiero, risalenti al 1367, "delli beni de figlioli emancipati habbitanti col padre". Purtroppo certi genitori, o per necessità di aumentare la scarsa area coltivabile, o soprattutto per ambizione di benessere, stabilivano essi stessi la ragazza che doveva sposare il loro figlio.
A proposito di nozze, interessanti risultano le disposizioni degli statuti al libro 3^ rubrica 5^ di non andare a nozze più di due per casa, ed al libro 4^ rubrica 7^ di non portare ceste a nozze, né a comadri.
Cosa c'entravano le ceste? Probabilmente si trattava di non voler offendere né lo sposo né la sposa: infatti, dal dizionario Primierotto, si rileva che l'espressione ciapar o dar 'na zesta significava ricevere o dare un rifiuto, una ripulsa, specialmente nel caso di domanda di matrimonio.
Sono esistite sciocche gelosie per le ragazze del proprio paese anche in Valle, note particolarmente quelle di Mezzano e di Imer, dove i fidanzati dell'altro paese non osavano tanto avventurarsi da soli.
In casa della morosa erano al sicuro, ma di notte venivano attesi all'uscita e giù botte con la complicità del buio.
Tante volte anche di giorno, quand'erano in gruppi di due o tre, venivano nientemeno che presi a sassate.
Il matrimonio, per ragioni di sostentamento, entrò ancora nel passato perfino nell'economia agricola di Valle.
Infatti per impedire il moltiplicarsi della part (proprietà) di qualcuno dei consorzi terrieri esistenti, che avrebbe dato luogo ad una sempre maggiore riduzione dell'area di una part, obbligando il frazionamento della proprietà, i regolamenti antichi di questi consorzi di Valle stabilirono che se almeno lo sposo è figlio di vicini, cioè di soci, i nuovi coniugi hanno diritto di focolare nuovo e cioè di una part, pagando una quota prestabilita di entrata, in caso diverso il diritto non sussiste.
Da questo particolare si può dedurre quanto fosse stato difficile e, per l'estraneo quasi impossibile, nel passato integrarsi nella vita del columello, specie per chi non vi possedeva dei beni propri.
Basti ricordare che fino a questo secolo, ed in qualche caso anche oltre, il comune non concedeva il permesso di matrimonio a chi non era in grado di assicurare il mantenimento della moglie e della prole, e questo semplicemente perché di poveri da assistere ce n'erano sempre troppi.
25 Settembre 1983
Il gruppo alpini in congedo di San Martino di Castrozza festeggia il 30° anno della sua fondazione, alla presenza, tra i numerosi ospiti, dell'arcivescovo di Chichago cardinale Joseph Bernardin, originario di Tonadico.
Il gruppo si era costituito nel 1953, i primi componenti della direzione del gruppo furono: Toni Segat, Mario Toffol, Gigioti Secco, Bepi Dalla Giacoma e Bruno Obber.
Allora come oggi, gli alpini hanno sottolineato il loro impegno ad essere segno di pace.
Il loro ricordare le guerre e le loro vittime, il loro voler ricordare di essere alpini, non è nostalgia, non è solo cameratismo e giusta espressione della solidarietà che li lega. è soprattutto ricordare gli errori già fatti e così pesantemente pagati ed è testimoniare con forza come gli alpini, è più in generale la gente di montagna, non voglia la guerra!":