23 Dicembre
Durante le feste natalizie ricorre di sovente la parola "auguri". In questa occasione vogliamo ricordare la figura dell'unico portatore d'auguri apparso nei nostri abitati, Giovanni Doff Sotta, di Imer, "Gioani Pericol", classe 1888, scomparso nel 1961. Tutti lo conoscevano attraverso il suo soprannome di "Pericol", che forse gli era stato affibbiato quale antitesi alla sua mansuetudine.
Era un uomo che non è diventato mai vecchio, abituati come si era a vederlo sempre camminare lesto, sembrava che avesse avuto sempre una gran fretta per impegni inderogabili.
Portava un cappello con una tesa rivolta all'insù e una al basso, sempre ornato di qualche medaglia, spilla o fiore, che richiamava alla memoria quello dei coscritti.
Indossava solitamente una giacca lunga e scura che teneva sempre aperta ed immancabile, estate e inverno, una piccola sciarpa con righette nere, di seta artificiale.
Alle dita affusolate almeno "na vareta de oro o de ardent" e un paio di anelli di scarso valore, che a lui piacevano tanto e sapeva elegantemente mettere in mostra.
Nei suoi quotidiani giri per la Valle, suo fedele compagno era l'ombrello che teneva infilato nel braccio sinistro e qualche volta anche in uno dei taschini superiori del gilè. Immancabile un mezzo toscano o un toscanello che muoveva in bocca.
I baffi non offuscavano l'espressione mansueta del volto che un risolino continuo, a occhi semichiusi, faceva diventare spesso sorniona.
Provava un grande diletto quando poteva dare una mano per sbrigare qualche servizio di serietà e fiducia in un bar o in qualche bottega, alla posta o in qualche famiglia, purché si trattasse di un lavoro disobbligato, che non lo tenesse impegnato in continuità. Era onestissimo e segreto.
E poiché, oltre che servizievole, era anche di animo cortese, un bel giorno finalmente trovò la vera occupazione che gli andava a genio.
Dopo averla sperimentata, fatto i suoi calcoli, ritenne anche che fosse sufficiente per sbarcare il lunario: aveva ormai deciso di fare il "portatore di auguri" a tutte le persone della sua Valle che festeggiavano l'onomastico.
Arrivò a conoscere la popolazione del Primierotto come nessun altro, nel periodo estivo allargava il suo giro fino a raggiungere le malghe. Generalmente si metteva in moto ancora di prima mattina.
Bussava discretamente alla porta e poi, senza attendere risposta, specie dove aveva più confidenza, pian pianino, come se non avesse voluto disturbare, entrava e si presentava nella cucina o nel soggiorno.
Se la persona che festeggiava l'onomastico era presente, si indirizzava verso di lei e, col più splendido sorriso e con molta serietà, porgeva la mano formulando l'augurio.
Un augurio piuttosto scarno: "auguri allora" oppure "buon onomastico" e serrava e scuoteva discretamente la mano.
Quindi anche senza essere invitato, specie nelle famiglie dove sapeva di essere accolto con simpatia, prendeva una sedia e si accomodava, logicamente in attesa di una qualche ricompensa.
Qualcuno gli offriva da bere e da mangiare, altri un pò di denaro, misurato dalla sua possibilità o generosità.